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ANDREA BRANZI - Non ho metodo


Per Andrea Branzi è un anno movimentato. Chiusa la monografica al deSingel di Anversa, andrà in mostra alla Carpenters Gallery di Parigi.
Poi, dal 19 giugno, in Triennale con le ceramiche. A settembre a New York.
Quindi Gerusalemme (se la personale non slitta al 2013) e il prossimo gennaio Berlino.
Intanto, ad aprile, c'è stato il Salone. Sempre spiazzante, Branzi ha presentato una nuova tipologia di cucina, 'flessibile, ospitale, dove si può anche lavorare e dormire' (per Veneta Cucine).
Contemporaneamente, ha partecipato a 'Milano si autoproduce', curata dall'amico Alessandro Mendini alla Fabbrica del Vapore. Duecentodue tra designer/artigiani/botteghe/gallerie erano radunati lì con le loro creazioni.

Un bilancio di questa esperienza?
La mia è stata una partecipazione più amicale che convinta: nel 2007, con Silvana Annicchiarico, in Triennale, avevamo fatto la stessa mostra, peraltro aspramente criticata.
'The New Italian Design. Il paesaggio mobile del nuovo design italiano' gira il mondo da cinque anni e dentro ci sono, appunto, tutte cose autoprodotte (Branzi all'epoca scriveva di 'ricerca del self-brand', e di come 'i grandi struttrali' avessero lasciato posto a 'una rivoluzione estetica molecolare che parte dal basso').

Fu criticata perchè?
Mi accusarono di aver restituito un'immagine di giovani fuori dal mondo. In realtà erano semplicemente sulla soglia della produzione 'normale'.
Come Carmelo Bene, 'recitavano nelle cantine perchè non gli offrivano la Scala'. L'autoproduzione era un'occasione per fare ricerca.
Poi l'industria si è accorta che le loro idee erano interessanti e ha incominciato a lavorarci.
Alla Fabbrica del Vapore però di sperimentazione ce n'era pochissima. Era una mostra di bricolage. Attività degnissima, ma non è design.

Ginger


Cosa l'ha convinta, invece, del Fuorisalone?
La cosa più interessante che ho visto è un'installazione a Ventura Lambrate. Un ambiente che sembrava disegnato e invece era tridimensionale (Analogia 003 di Andrea Mancuso e Emilia Serra, ndr). Assolutamente poetico.

Anche utile?
Operazioni come questa, concettuali, che non entrano nel mercato ma si diffondono nel mondo attraverso i media, servono ad alimentare nuove prospettive. E' sempre stato così. Le sedie di Rietveld, scomode, spigolose, erano prototipi. Apparentemente inutili, ma la loro influenza sul design è incontestabile. Vale il paragone con Stockhausen: inascoltabile, ma la sua influenza popolare è incontestata.

Le sue cose, Branzi, sono design o arte?
Io faccio oggetti d'uso che posson essere vicini all'arte.
E' un'antichissma tradizione. Un tempo il disegn si chiamava arte applicata.


Campanula di Rotaliana
Reverse












Più che un tradizionalista lei è sempre sembrato un 'irregolare'...
Una volta laureato ho fatto una scelta precisa, che non è professionale ma filosofica. Il movimento radical avvertiva che era in corso un paesaggio da una civiltà architettonica a una oggettuale. Avevamo intuito che il futuro era nei microsistemi, nei sottoprogetti, che per cambiare il mondo basta una molecola.
Il tempo ci ha dato ragione.

Ed oggi?
In questo momento di crisi, il design ha grandi responsabilità proprio perchè è invasivo, può entrare negli interstizi della vita individuale. Al design interpretato solo come committenza, come questione posta da altri, andrebbero affiancati luoghi dove affrontare temi antropologici più complessi, con componenti anche oscure.
Tutto ciò che la modernità del secolo scorso ha lasciato fuori: la vita. la morte, la malattia.
Sono ambiti che richiedono una nuovissima drammaturgia, un linguaggio nuovo. Non solo elegante.


Goccia per Rotaliana
L'altra emergenza della crisi, ma non solo, è che i designer faticano a guadagnarsi da vivere. Sono in troppi?
Il design è diventato una professione di massa perchè i mercati hanno bisogno di iniezioni, di innovazione ed energia sempre nuove. Scuole e università continuano a nascere in tutto il mondo, e non è certo un trend basato sul vuoto. L'errore è vedere il design come 'un posto di lavoro'. Un'attività creativa ce la si inventa, continuamente.




Lei ha sempre insegnato. Che tipo di professore è?
Nella didattica, come anche nel lavoro, non ho mai voluto creare una generazione di "branziani".
Ho sempre pensato che la scuola dovesse formare degli autodidatti, persone in grado di camminare con le proprie gambe. I miei migliori allievi non mi somigliano minimamente, e lo trovo un fatto molto positivo.
D'altronde io stesso non ho un linguaggio codificato, nè un metodo. Bisogna essere liberi anche da se stessi, se no uno si crea una gabbia e poi non riesce più a uscirne.


Con Archizoom Associati, 1969
Poltrona elastica Mies

info: www.andreabranzi.it
Fonte: Case da Abitare - Giugno 2012 - Lia Ferrari


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